Ci fermammo in quel paesello nel cuore dell’Italia con l’intenzione di rifocillarci e riposare per una settimana. Ricordo l’istante in cui fermammo i carri. La mia prima boccata d’aria aveva il sapore di casa. Il mio corpo venne d’un tratto avvolto e invaso da una profonda sensazione di benessere.
La settimana prevista divenne presto un periodo più lungo. Due settimane, un mese, tre mesi.
– Sì, proprio in quel punto – affermai al mio fedele braccio destro, indicando con il dito la punta di quella verde e sinuosa collina.
I lavori iniziarono il giorno seguente. Non erano sufficienti i miei fidati per quell’opera maestosa. Così, gran parte degli abitanti di quel paesello vennero assunti e ben pagati per offrire il loro contributo.

– Pensa che torneremo mai a casa? – mi domandò una sera uno dei miei uomini, con gli occhi lucidi e le mani accartocciate.
– Concludiamo l’opera iniziata, mio caro. Ognuno di noi sarà poi libero – sorrise alle mie parole. Provai gioia per lui, solo per lui.
Tutte le mattine sedevo per ore nel mio giardino. A piedi nudi, mi facevo accarezzare dall’erba fresca dell’autunno o punzecchiare da quella secca dell’estate. In quegli anni capii molte cose, tanto più che in decenni di viaggi per l’Europa a vendere spezie e materiali pregiati.
Tutte le mattine sedevo per ore nel mio giardino. A piedi nudi, il tempo premeva a tal punto sopra la mia nuca che ne potevo sentire la sua pesante volatilità. Osservavo di fronte a me, l’opera cresceva e, con lei, un groppo denso nel petto.
Tutte le mattine sedevo per ore nel mio giardino. A piedi nudi, pensavo agli anni trascorsi in viaggio. Non avevo conosciuto pause tra un’attività e l’altra. Un fare senza afferrare.
Oggi, di fronte a me si erge l’opera che marca il mio termine imminente. Un maestoso mausoleo. E oggi, un uomo sperimentato come me, abbraccia finalmente il fascino poderoso dello stare, del vivere senza costrizioni.