Levin

La pioggia bagnava Piazza dei Letterati e nemmeno il suono della fontana al centro era più udibile. In quelle giornate dall’odore di pietra bagnata, amavo trascorrere il mio tempo al Caffè in compagnia di un buon libro.

Alzai lo sguardo dal testo e fissai il signore seduto di fronte a me. Aveva l’aria di un uomo dell’Est, con lineamenti duri e lo sguardo penetrante. Sembrava immerso in pensieri lontani.

– Ha mai letto qualcosa di Tolstoj? – gli domandai notando la sua curiosità per la copertina del mio libro.

Lui sollevò un sopracciglio e accennò un sorriso, come se la mia domanda lo divertisse. – Mi chiede se ho letto qualcosa di Tolstoj? Credo di conoscerlo fin troppo bene il buon Lev – aggiunse poi, emettendo uno stridulo verso con la bocca. 

– E che gliene pare? – incalzai. 

– A quel genio non sfugge nulla, – rispose, accendendosi all’improvviso. – Gli è sufficiente uno sguardo, qualche parola e sa già tutto di te. Non ho mai conosciuto un altro uomo così acuto nel comprendere l’animo umano. – 

Rimasi colpito. Era esattamente l’impressione che avevo io di Tolstoj, ma quell’uomo l’aveva espressa con una lucidità che mi spiazzò. 

– Non sei d’accordo? – incalzò. 

– Sì, lo sono – dissi dopo una pausa. 

– E dimmi, – riprese, tamburellando le dita sul tavolo, – se dico Tolstoj, qual è il primo personaggio che ti viene in mente? – 

– Ne potrei elencare alcuni ma uno si è impresso in me più degli altri: Levin. Ha presente? – 

Lui si fermò, lo sguardo perso oltre il vetro appannato del Caffè. – Levin… – ripeté lentamente, come se stesse assaporando il nome. Poi tornò a fissarmi. – E dimmi, perché proprio lui? – 

Mi lasciai andare contro lo schienale della sedia. – Potrei parlargliene per ore. Ha tempo? – Un sorriso appena accennato gli incurvò le labbra. – Non ho nulla da fare. Ti ascolto. – 

Inspirai piano.

– Il suo tormento, per cominciare. Un uomo diviso tra ambizione e debolezza, tra il desiderio di appartenere e il rifiuto della banalità. Si sente fuori posto ovunque. Analizza ogni emozione, ogni gesto, si dibatte tra il bisogno di amore e la paura di non essere abbastanza. E poi la sua evoluzione… Ho amato la sua evoluzione. – 

Lui inclinò appena il capo. – In che senso? – 

– È un uomo che vive nell’insoddisfazione, che si sente estraneo al mondo. Si aggrappa all’amore, ma quell’amore al principio lo distrugge, lo spinge sull’orlo dell’abisso. Eppure, proprio quando sembra che tutto sia perduto, scopre ciò che cercava. L’amore per sua moglie, per suo figlio, per un Dio che non è religione, ma esperienza. E in quell’amore trova il dono più grande: la capacità di vivere con sé stesso. Ho pensato a lungo che Tolstoj parlasse di me. – 

Per un attimo, nessuno parlò. Il rumore della pioggia riempiva gli spazi vuoti tra le parole. Fu allora che notai i suoi occhi. Erano lucidi. Una lacrima, silenziosa e inaspettata, gli scivolò lungo la guancia. Rimasi immobile, colpito da quella fragilità inattesa in un uomo che fino a poco prima mi era sembrato imperscrutabile. Abbassò lo sguardo, poi tornò a guardarmi. Sorrise appena.

– Dirò a Lev ciò che pensi di me. –

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